Egregio Direttore,

dispiace dover constatare, ancora una volta, che il giornale da Lei diretto e che rappresenta la nostra città si diffonda nella pubblicazione di ampi stralci di un’indagine, chiamata evocativamente ‘Stranamore’ non certo per ricordare il capolavoro di Kubrick, ma, forse, la trasmissione italiana che come un novello cupido degli anni ‘90 si preoccupava di ricucire il destino di coppie in crisi che tentavano la riconciliazione tramite il mezzo televisivo ed accorati appelli videoregistrati.

E pensare che quel format che ebbe tanta fortuna riprendeva la rubrica Fiori d’Arancio della trasmissione “Portobello” di Enzo Tortora. Ma qui, della storia di Enzo Tortora e di quello che la sua vicenda giudiziaria dovrebbe aver insegnato, c’è ben poco.

Stranamore è oggi il nome di un’inchiesta diretta a sgominare i matrimoni fittizi. Perché il fatto che a Livorno si sia instaurato un sistema illegale di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, realizzato con matrimoni di comodo, sembra notizia consegnata oramai ad una verità storica data per assodata e immodificabile.

E tuttavia, non ci risulta che siano state pronunciate sentenze di condanna definitive.

Il fatto in sé dell’esistenza di un’inchiesta è certamente meritevole di notizia, ma il punto è un altro e ancora una volta ha a che vedere con l’art. 27 della Costituzione che non ci stancheremo mai di difendere. Poche parole che scolpiscono un diritto che non deve essere divorato dalle logiche del sensazionalismo: l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Tanto per cominciare occorre evitare di trasformare quella che è un’ipotesi investigativa in un processo mediatico che si celebra fuori dalle aule del Tribunale, l’unica sede deputata all’accertamento della responsabilità. Anzitutto con la scelta di un lessico appropriato. La lingua italiana, così variegata, conosce una forma diversa per descrivere il dubbio, l’ipotesi, appunto: il condizionale. L’indicativo è il modo della certezza. E fintanto che non vi sarà un processo, finché non saranno accertate le responsabilità nel fuoco incrociato di tesi e confutazioni (in gergo si chiama contraddittorio tra accusa e difesa davanti a un giudice terzo e imparziale) quella che oggi appare una verità inconfutabile non può essere data per tale.

Spiace che anche il primo cittadino intervenga a complimentarsi pubblicamente con gli organi della Guardia di Finanza senza usare la doverosa prudenza che sempre deve accompagnare la lettura di un’inchiesta. Al politico non è richiesto il plauso ad un’indagine che ancora non si è tradotta nel risultato di una condanna: piuttosto devono interessare le ragioni che avrebbero condotto alcuni stranieri a ricorrere a presunti matrimoni di comodo e l’analisi della legislazione vigente per capire come intervenire, in via preventiva, per evitare eventuali situazioni di sfruttamento della precarietà.

Ed è a nostro avviso censurabile che la polizia giudiziaria dedichi tempo ad attività diverse da quelle proprie della funzione che si traducono nella divulgazione del proprio operato incensando, sui quotidiani, gli esiti di indagini non ancora concluse. Questa narrazione sfugge ai binari tracciati dalla Costituzione. Alimenta il divario tra Stato di diritto e Stato penale, incentrato (questo) sull’esposizione al pubblico ludibrio degli indagati, poco importa se presunti innocenti.

Poco importa che in questo paese finisca in carcere da innocente una persona ogni otto ore, proprio in base a indagini preliminari che non sempre trovano conferma processuale. Perché deve essere chiaro che la difesa comincia a contribuire alla ricostruzione del fatto solo dopo che i quotidiani pubblicano gli esiti delle inchieste condotte unilateralmente. E spesso il nostro contributo consente di chiarire alcune posizioni, di rileggere i fatti anche in altro modo. Insomma, di ‘ processarli’ come si fa con i dati degli esperimenti scientifici che necessitano di un tempo lungo di osservazione ed elaborazione, di confutazione e, semmai, di conferma.

Ma la notizia si ferma agli atti preliminari: si dimentica del processo, dell’aula, delle assoluzioni che quando arrivano, troppo tardi, sono incapaci di cancellare quel marchio d’infamia che ormai si è abbattuto sulla vita delle persone travolgendone gli affetti, il lavoro, la dignità, la posizione sociale.

Rinnoviamo la proposta che Le abbiamo rivolto poco tempo fa. Che il suo quotidiano pubblichi per 139 giorni gli articoli della Costituzione. Saremo ben lieti di contribuire alla stesura di questa rubrica.

La ringraziamo per l’attenzione.

                                                                                             Il direttivo della Camera penale di Livorno

 

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